Michele Sambin

La sonorità dell’immagine

25 GIUGNO – 23 OTTOBRE 2021

ATRIO MONUMENTALE ASP – ITIS

Inaugurazione: venerdì 25 giugno ore 17:30*

* Solo su invito strettamente personale inviato dalla Direzione dell’ASP ITIS

Dopo un periodo di inattività dovuto al prolungarsi dell’emergenza pandemica, con la nuova fase che ha visto la regione Friuli Venezia-Giulia, e Trieste, essere incluse in zona bianca dal 31 maggio, ricomincia l’attività espositiva di ARCA- Arte Contemporanea per una Comunità attiva, all’Asp-Itis e la relativa apertura del bellissimo Atrio Monumentale. La mostra di Michele Sambin, che avrebbe dovuto essere inaugurata il 10 aprile 2020, era stata posposta e solo ora finalmente può essere presentata al pubblico, un segnale, questo, che speriamo tutti ci riporti verso una ritrovata quotidianità, anche sul piano della programmazione culturale.

Michele Sambin (Padova 1951) riprende una questione già affrontata da Mario Sillani in occasione della sua intensa personale (La Fine del Tempo) tenutasi all’Itis sempre per ARCA nei primissimi mesi del 2020: il rapporto fra immagine e composizione musicale. L’autore padovano ripropone questa relazione come incrocio fra musica, suono e immagine, la cui elaborazione però, in questa recentissima serie di grandi lavori su carta concepita appositamente per questa nuova riapertura di ARCA, viene esposta al pubblico per la prima volta.

Immagini astratte fra la monocromia e l’utilizzo di gamme cromatiche estremamente raffinate, per comporre dei quadri-partitura che generano una sorta di musicalità visiva. Michele Sambin non è nuovo a questo genere di sperimentazioni all’incrocio fra discipline artistiche diverse. La sua intera ricerca, a partire dalla fine degli anni ’60, si è sempre caratterizzata per la pluralità di approcci e soluzioni. L’artista si è formato al Conservatorio di Venezia, diplomandosi in musica elettronica con Alvise Vidolin ed è stato uno dei pionieri della sperimentazione con il videotape alla Galleria del Cavallino. Quei suoi lavori, considerati fra le più rilevanti produzioni sui nuovi linguaggi non solo a livello italiano, si distinguevano proprio per la particolare declinazione del rapporto fra musica e immagine tecnologica, rapporto veicolato da una marcata componente performativa. Nondimeno il disegno e la pittura hanno accompagnato costantemente il suo lavoro, e le immagini di matrice gestuale, astratta, sono state ripensate e ricombinate grazie ad inusuali composizioni video. Non vi è dunque per Sambin alcuna cesura o separazione fra le arti, anzi: sono i loro diversi linguaggi ad aver animato la produzione di moltissimi lavori e regie teatrali, (il teatro è l’altro grande nucleo della ricerca dell’artista), che si sono distinti nel panorama nazionale e internazionale grazie ad una particolare interazione fra tecnologie digitali, luce, musica e componenti visive legate alla pittura e alla corporeità. Michele Sambin, insieme a Pierangela Allegro e Laurent Dupont ha fondato nel 1980 il TAM, il Tam Teatromusica di Padova (Teatro delle Maddalene), di cui è stato direttore artistico per trent’anni (fino al 2010). Queste interazioni fra i linguaggi artistici sono avvertibili anche quando, come nel caso della mostra nello spazio triestino, i lavori presentati – tutti contraddistinti da quella matrice gestuale e astratta cui si è già accennato-, sono il risultato di un’unica tecnica esecutiva. Al di là degli stessi strumenti e media usati è l’idea di flusso quella che più attiene alla concezione di Sambin. Un’idea, un’intuizione, che traduce il senso della temporalità non concepita come sequenza di istanti separati misurabili ma come scorrere incessante, un nastro continuo, senza inizio o fine determinabili. Un flusso che transita da un linguaggio espressivo ad un altro senza soluzione di continuità, anche qualora si tratti, come in questo caso, esclusivamente di lavori su carta. Il mezzo usato per realizzarli è il pigmento ad acqua, molto amato da Sambin, perché permette di restituire con efficacia e immediatezza, la pluralità di momenti diversi del sentire, grazie alle trasparenze e alle variazioni di densità concesse dal pigmento. Stratigrafie cromatiche punteggiate e tramate di segni che ricordano fragili costruzioni, scritture non alfabetiche, tracce di notazioni musicali.

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Riccardo Caldura

Regista, musicista e pittore, Michele Sambin conduce una ricerca che ha come tema il rapporto tra immagine e suono. Fin dai primi anni 70 indirizza il proprio interesse all’incrocio tra le varie arti: cinema, musica, video, PITTURA. In seguito utilizzerà il teatro come luogo di sintesi (www.michelesambin.com). Nel 2019 è uscito Più de la vita, titolo ispirato a Ruzante, prodotto da Kublai Film, per la regia di Raffaella Rivi. Il film ripercorre, come ha scritto Samantha De Martin: “Un’impresa artistica lunga quattro decenni – che incrocia le diverse tecnologie nel loro evolversi, dal video analogico alla pittura digitale, dagli strumenti tradizionali alla musica elettronica – raccontata attraverso una dimensione intima e concreta”. Michele Sambin vive e lavora fra Padova e la casa-studio in Puglia dove organizza attività espositive e performative.

Suoni e immagini per un altro linguaggio

Potrebbe apparire peregrino se non, addirittura, fuori luogo che una rubrica di cinema si occupi, anche, di pittura. Non in questo caso: Sonorità dell’immagine – questo il titolo della mostra di Michele Sambin, a cura di Riccardo Caldura, all’Arca di Trieste – è l’ultimo tassello – solo in ordine di tempo – di una ricerca incessante. Difficile – quasi impossibile, in questo spazio – sunteggiare un percorso, come quello di Sambin, che parte dalla fine degli anni ‘60 e, febbrilmente, lungo tutti questi anni, non ha conosciuto arresti. Al contrario, Sambin ha costantemente ridefinito e rilanciato il cuore del suo discorso – come voleva Heidegger, ogni grande pensa sempre e soltanto una cosa – e il dispositivo – di volta in volta diverso – che permette di isolarlo. Il visitatore è avvertito – sin dal titolo della mostra – i quadri di Sambin sono spartiti visivi. Come i volti di Un suono a testa, gli animali in Dodici Animali, gli spazi e gli ambienti in Laguna e Blu d’acqua, l’intensa mostra triestina di Michele Sambin rilancia, con forza, quella cosa che da sempre ha occupato l’anamnesi – questo è anche il titolo del primo film di Sambin, nel ‘68 – dell’opera dell’artista padovano: il rapporto immagine-suono.

Davanti alle opere esposte a Trieste, il visitatore si vede sprigionato lo spettacolo, squisitamente visivo, di una sonorità irrequieta, letteralmente, inaudita: il silenzio regna sovrano eppure, ex negativo l’asincronia di suono – a priori negato – e di immagini-spartiti squaderna la realtà, naturalmente, polemica che separa suono e immagini finendo per legarli indissolubilmente. Da anni, Sambin lavora sugli inciampi, sui ritardi, sulle idiosincrasie spazio-temporali che avvicinano – e allontano – il linguaggio sonoro e il linguaggio visivo, con l’ambizione, mai sottaciuta, di spingere la folgorazione di questo incontro multimediale e/o – come la chiamerebbe Pietro Montani – l’intermedialità costitutiva di molti suoi esperimenti verso la strutturazione di un alfabeto audiovisivo originale. La mostra triestina, dunque, si inserisce, pienamente, nel tentativo da parte di Sambin, di rilanciare, più che la sfida, la possibilità di un nuovo linguaggio.

Lo stesso dicasi del tempo in cui sono iscritte queste opere: il lampo. Per Sambin il lampo è «elettricità dispersa non utilizzabile». Per un’istante «qualcosa si accende, tutto è chiaro» ma la forza di quell’istante si dissipa: «non è utilizzabile». Così il fenomeno naturale, così l’intuizione dell’artista. Solo après coup,quando il tempo del lampo si è fermato in un immagine, si può intravvedere il dictum,letteralmente, folgorante di quell’istante. Solo trasfigurando l’istante dellampo – rallentandolo, interpolandolo, rielaborandolo – è possibile accedere ad un tempo nuovo. Come nel caso di immagine e suono, solo disarticolando le consuetudini è possibile conquistare una lingua, completamente, inaudita. Definendo, quindi, i confini di un’ecologia dello sguardo in cui il dispositivo si fa traccia dell’ambiente – sonoro, fisico, visionario che sia – e l’ambiente diviene il tracciato invisibile – perché non ancora visto –del dispositivo.

Giovanni Sabattini

Finissage della mostra di Michele Sambin all’ITIS di Trieste

Lunedì ‒ Domenica: 15:00 ‒ 19:00

Via Pascoli, 31
34100 Trieste
Visite previo appuntamento info@arcacontemporanea.it